L’armonia salverà il mondo

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“Il verosimile non corrisponde fatalmente a quanto è stato – ciò è dominio della storia – né a quanto deve essere – questo riguarda la scienza -, ma semplicemente a quanto il pubblico crede possibile e che può essere del tutto differente dalla realtà storica o dalla possibilità scientifica” R. Barthes

La filologia, la semantica, queste dimenticate, eppur da sempre fonti di profonde riflessioni. Se le riferiamo infatti alle lingue europee, almeno quelle che oramai capiamo e riusciamo a parlare un po’ tutti, ecco come tornano a essere attuali e cool. Per noi restano importanti e soprattutto utili per capire alcuni meccanismi che sono alla base della formazione di molti concetti, ovvero di quello che pensiamo.

“Nomina sunt consequentia rerum” (lett. “i nomi sono conseguenti alle cose”) potrebbe aprire un dibattito lungo e senza vincitori molto caro alla Scolastica – che qui non apriremo – ma porta sostanzialmente a porci alcuni quesiti: le idee esistono già prima di noi o siamo noi che diamo forma alle idee? Ma in fondo cosa sono le cose? Come possiamo capirle?

Probabilmente tra i primi a parlare del nostro rapporto con le cose è stato Aristotele, che sosteneva che possiamo comprenderle solo grazie ai sensi: tocco le cose e quindi ne ho percezione e conoscenza; d’altronde siamo animali sociali senzienti, e, tra le altre cose, sfruttiamo i nostri sensi per il continuo bisogno di comunicare con gli altri.

Platone, altro grande padre teorico del “grado O del design”, invece, ci ha mostrato e descritto delle immagini evocative magnifiche per sostenere il contrario: le idee esistono da prima, siamo noi che riusciamo a vederle concretamente soltanto dopo. Quello che è certo è che senza le parole che utilizziamo – e la conoscenza stessa di esse – risulta complicato elaborare un pensiero. Per comprendere le cose dunque abbiamo bisogno di partire dal loro significato.

A Philippe Daverio dobbiamo – tra  le molteplici cose  –  l’averci  illuminato  sul  fatto che esiste una parola che accomuna le lingue europee, ovvero che ha la stessa radice semantica: è uguale infatti in francese, spagnolo, tedesco, italiano, inglese, ungherese, bosniaco, croato finanche in russo; la parola in questione  è  “vino“.  La  motivazione  di questa origine comune è di natura storica e si riferisce al processo di cristanizzazione (che non può esistere senza il vino) su tutto il territorio europeo. Da qui la proposta sempre di Daverio alla commissione europea per la stesura di uno  statuto secondo  cui l’Europa sarebbe una “penisola occidentale dell’Asia fondata sul vino”.

Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico. Molière (1622 1673)

Completamente diversa invece la storia della parola “bello“. L’etimologia  della parola bello è infatti incerta. Dall’italiano bello si passa al francese “beau“che però diventa “hermoso” in spagnolo. Lo spagnolo in questo caso riprende il latino, da “formosus” (per cui il bello è colui che è formoso, muscoloso) per il maschile; per il femminile è “linda” invece. In inglese questo concetto di bello legato alla forma o più propriamente alla forza lo si ritrova in “handsome” (una forte stretta di mano) ma non in “pretty” . In tedesco invece bello è “schoen o schön ” che deriva da “sole”, per cui è bello ciò che è solare, che illumina, che riscalda. Per capire il bello l’etimologia sembra non venirci in aiuto.

Per i greci il bello è a metà tra il buono e l’utile, “kalòs kai agathòs“, “bello è anche buono“; se qualcosa è bello, lo è perché a qualcosa serve. Il bello è equilibratore del mondo. Il bello è imitazione della natura e sarà poi con l’Impressionismo che cadrà l’equazione arte=vero ovvero arte come mimesis. Plinio il Vecchio (Storia Naturale XXXV 65-66) ci tramanda il mito dei due tra i più grandi pittori della Grecia antica, Zeusi e Parrasio: nella gara di simulazione il primo è capace di dipingere grappoli d’uva così realistici da indurre gli uccelli a beccarli; il secondo in grado di ingannare l’occhio esercitato di Zeusi stesso, che di fronte alla tenda dipinta da Parrasio volle scostarla, credendo celasse il quadro. Il motivo di questa simulazione o imitazione della natura risiede nel modello antropologico culturale del mondo greco.

Tutte le concezioni del bello, dai greci ai giorni nostri, possono rientrare in questi o quei determinati modelli. Il modello della bellezza del ‘600, ad esempio, può essere semplificato con la moglie di Rubens. Nel corso del Seicento si consolidano infatti quelle tendenze classiciste incentrate sulla bellezza ideale; tra i sostenitori di questa teoria è Giovan Pietro Bellori, il quale, nel suo volume “Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni“, ci parla di come sia superiore la bellezza ideale rispetto sia alla imitazione tout court del reale, sia a quella dettata da libera fantasia. Oggi questo concetto di bellezza – figlio di un momento storico ben preciso, la tremenda guerra dei trent’anni – non sarebbe più attuale, piuttosto potrebbe essere utilizzato come strumento per una campagna pubblicitaria provocatoria di qualche anno fa della DOVE.

Potremmo mutuare la chiave di lettura a tutto quanto detto finora dal mondo greco, con particolare riferimento a Pitagora. È a lui – o a chi per lui, ovvero i Pitagorici del V secolo a.C. – che dobbiamo una serie di invenzioni linguistiche, quali la parola matematica, cosmo, ma soprattutto il termine ARMONIA. Il concetto di Armonia – così come ce l’ha trasmesso Pitagora – nient’altro non è che l’equilibrio esistente, innanzitutto tra i numeri: tutti i numeri dovrebbero essere rapportabili all’unità. Sempre Daverio dice che i Pitagorici sono stati i primi veri promotori del monoteismo intellettuale, ripreso poi da Leibniz nella monade: esiste un “N”, una unità da cui dipende tutto, ovvero il rapporto tra gli equilibri, il rapporto dell’armonia. Questa armonia per i Pitagorici esiste in tutto, esiste negli astri e persino nella musica. Gli stessi studi proposti tra le proporzioni numeriche infatti riguardano anche la musica e i vari cosmi; tutto può essere riassunto in un mondo perfetto, quello della Tetractis.

Questa forma geometrica rappresenta proprio la chiusura degli equilibri, tutto il mondo è dentro, ed è da lì che nasce l’Armonia. In questa definizione l’Armonia è la risposta alla Bellezza, è un altro rapporto possibile della bellezza. Il fatto che si vada a cercare le varie ipotesi di armonia che compongono un possibile universo è la base di una visione delle cose. Forse è proprio all’interno dell’armonia che possiamo trovare una risposta al vuoto di contenuto della parola “Bellezza“: se “Bellezza” è un termine che possiamo applicare a qualsiasi cosa, la parola Armonia no. In quest’ottica, il concetto di Armonia ci può far uscire dall’eredità della saggezza popolare per cui: “non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace“. Al contrario, possiamo dare una svolta a questa concezione relativistica considerando l’armonia come un modello applicabile a ogni cosmo o categoria di riferimento. Un esercizio interessante di applicazione di armonia (ovvero di equilibrio) a cosmi diversi può essere questo: se ci riferiamo al mondo lineare 3+4 è certamente uguale a 7; nel mondo del quadrato invece 3+4 (quindi 9+16) è uguale a 5 (25).

Armonia potremmo dire che è una parola etica, perché è una parola di convincimento filosofico: potremmo chiederci infatti se c’è dell’equilibrio nel paesaggio che osserviamo fuori dalla finestra, se c’è dell’armonia nella stanza con le persone con cui interagiamo, o se ci sia dell’equilibrio in un dato quartiere;  l’armonia è l’equilibrio delle cose. Sempre per i greci, questa parte del tutto – la Gestalt deve molto a questa visione – rappresenta una traduzione reale dell’essenza matematica delle cose; in natura e architettonicamente questa armonia era rappresentata come sappiamo, dalla sezione aurea.

Questo equilibrio tra le parti, e il rapporto tra le parti con il tutto, è applicabile a qualsiasi cosa dell’universo: equilibrio tra noi e l’ambiente; equilibrio tra noi e la nostra eredità storica, tra noi e il nostro bagaglio semiotico-linguistico, tra il nostro essere e il corpo.

In questa visione, la concezione di armonia può raggirare il tanto bistrattato e sovraffollato concetto di bello e dare delle risposte ancora oggi: in questa visione, non tanto la bellezza quanto l’armonia salverà il mondo!